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giovedì 21 luglio 2011

Perdetevi il libro magari ma non questa prefazione del grande Alfredoski

.Le poesie sono pensieri sbloccati

Firmati da realtà opprimenti

Tu non fai altro che scriverle



Io non so cosa è esattamente ciò che scrive Ciro Campajola. So che spacca le dighe, spacca i muri, spacca gli spartiti, così come spacca i coglioni… specie di chi è sazio nella propria mediocrità e complicità, e spacca la vita e la morte.

Le chiamiamo poesie, ma di poesie del genere io non ne ho lette mai. Chilometriche, inarrestabili, fluviali.

Urlano fino a trapanarti la mente, ma ridono anche, tra il malinconico e la speranza affamata dietro un bicchiere di vino e un bicchiere di blues e un bicchiere di anima.

Ferite e grotte di solitudini, abbandoni e volti cancellati dalla lavagna, i gironi infernali dei senza nome, e dei nomi di coloro a cui hanno rubato il nome. E di loro che canta Ciro. Delle principesse bambine vestite da prostitute e dagli occhi grandi come il mare. Delle periferie capovolte dei tossici, e dei marchiati a fuoco, i puntini neri per le freccette facili, i collaudati oggetti del disprezzo, le mani fragili che chiedono vita e carezze, e prendono pugni e morte.

Ma Ciro non è un delicato poeta da confortevole nicchia malinconica. In lui suona a stordire le orecchie, la forza iconoclasta dell’eterna invettiva contro l’abiezione, la sacra indignazione che è l’onore di tutto la grande poesia satirica dell’antichità, e di tutto il grande teatro ironico, appassionato e civile dei nostri giorni.

Sì… la ribellione delle parole. La ribellione nelle parole. Non cercate conferenze per acculturati e teste d’uovo. Ciro è nato nelle periferie, vive nelle ciminiere, sale su quegli strani sentieri che si affacciano sul volto bello della vita che regge il pugno, e mostra il dito alle cornacchie gracchianti della dissoluzione.

Lui mostra il riso delle scimmie. Ma a quel riso non si arrende come gli eterni sconfitti. E a quel riso non si accompagna, come gli eterni complici vigliacchi.

Perché è tutta una scansione di tempi.. tutta una scansione di ritmi.

E lui ti mostra il male, ti mostra la scimmia deforme, il concerto malato dei vampiri. E a volte è acciottolato in mezzo al grembo che piange.

Ma non vedrete mai solo il buio..

Alla fine c’è sempre un canto del cuore,

siamo sempre qua – sembra dire Ciro – a dare sperma e polmoni alla vita..



e poi tu*

tu sempre con quelli che non ci stanno

che preferiscono pagare e fanculo il conto

tu confuso

tra quelli che sanno tutto e quelli che non sanno niente

tu

che non ne vuoi più sapere e fanculo pure le chiacchiere

tu

tra la legge uguale per tutti o meno

tu

che per quel che ne sai

fanculo comunque sia la legge

con te è sempre stata uguale

mai giusta

tu

che batti sudato e testardo il tuo sentiero

che per gli altri sia legale o no

lo è per te



E’ la tua strada ragazzo, la strada stretta è sbagliata.

La strada di chi lo batte il suo tempo, anche quando le ore pesano fino spezzarti le dita. Ma tu non la molli. “Sono quello che sono”.. dillo, dillo forte e fai il tuo passo, cammina sul tuo Sentiero.. prendi ciò che ti appartiene e vai, costi quel che costi, quanto sangue può costare, è onorare ogni attimo. Questo ti fa scalpitare Ciro dentro. Questo ti scaraventa addosso.. con buona pace di tutti i cantori della stanchezza, che dilagano nel nostro tempo.



E’ intollerante nel suo scrivere? Può essere. Non è un santo. Non vuole essere un santo. La sua poesia è bambina e negra allo stesso tempo. Crudele e sensibile allo spasimo. Conosce la lotta di strada questa poesia, a mali estremi sa tirare le unghie… Nasce dalla musica, la musica la partorisce, musica genererà.

Non è per i levigati, le personcine inamidate, i professionisti del volontariato, per tutti coloro che si rifanno una verginità con le “pecorelle smarrite”. Se siete tra costoro.. non è il libro per voi. C’è tanto altro in libreria, cercate altro.



Le vite scartate gli stanno appese al collo, e lui si fa male a portarle, ma DEVE portarle. E sono tutti qua a prendersi la sua mano. E c’è ancora lui, nelle notti a dare lucido alle trombe.

La sua poesia trasuda Onestà. L’eccesso si accoppia al rigore morale. Solo uno dei tanti apparenti paradossi che vivono in lui e in ciò che scrive.

E alla fine c’è la notte più notte, notte al quadrato.

Alla fine c’è l’alba afferrata “appena in tempo”.. “in fondo alla notte”..

Alla fine c’è musica che passa nelle vene.

Alla fine c’è un anello..



ti accorgerai*

che comunque

nei giorni chiari e in quelli bui

hai sempre trovato un anello

in ogni tempo

con ogni tempo

e sia nel sole che nella pioggia

tu lo hai sempre portato al dito

come una fede nuziale

come un matrimonio benedetto di suo.



Non vi dico di leggere il suo libro..

Non si dice mai a qualcuno di leggere un libro,

a un certo punto un libro, un disco, un volto ti chiamano..

chiamano e basta.

Vi dico invece di dare lucido alle trombe.



Alfredo Cosco

1 commento:

  1. Grazie Fatina, ora mi fa riaccedere doveva essere un problema di internet....

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