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PSYCO

Ho paura, non respiro, sento la pelle che scotta ma sudo freddo. I muscoli sono contratti, i nervi tesi, stringo i denti fino a sentirli nelle mascelle, stringo i pugni fino a schiacciarmi le dita, sono bloccato nei movimenti, sono letteralmente inchiodato a questo momento. Ogni gesto e ogni pensiero sembrano peggiorarlo, sembra la scena di un thriller, un film di Hitchcock, sembra Psyco, invece è solo l’ora dello psyco-farmaco, il mio organismo lo reclama. Lo ingoio e nascosto dietro un patologico numero di sigarette aspetto che agisca. Aspetto che i morsi allo stomaco demordano, che il sudore si asciughi sulla pelle e poi che il ghiaccio rimasto sotto si sciolga, così che la pelle che prima scottava adesso si scaldi, aspetto che il respiro torni regolare, che il nodo alla gola si allenti, che i miei stessi movimenti si sleghino. Aspetto che il vuoto in cui mi sento si dissolva in un altro vuoto. Aspetto che la paura di tutto venga nascosta nel nulla, senza nemmeno sapere bene di cosa ho paura.
La paura per me era un’estranea; e non lo dico come un vantaggio ma come un fatto. Mi trovavo in situazioni estreme senza tremare mai, neanche una volta, neanche di fronte al dolore fisico o alla morte, ero fin troppo incosciente, ero addirittura attratto dall’incoscienza ed è stato forse per questo che la paura hanno pensato di “trasmettermela”. La paura è entrata in me a piccole dosi, tante quante ne conteneva una compressa, fino ad accumularsi e poi diventare il mio psyco-dramma; e quei farmaci continuo a non capire a cosa mi servissero. Quello che so è che io preferivo la mia incoscienza a un sonno intervallato da momenti di paura puntuali come una sveglia chimica a “ricordarmi” il momento di alimentare il sonno. Un’incoscienza trasformata in altra incoscienza. Quello che so è che questo è stato l’unico aiuto che ho avuto per le mie vicissitudini, prima caratteriali e poi patologiche.
Mi sono drogato per trent’anni e sin dall’inizio non mi sono limitato all’ “uso di droghe”, ne ho sempre fatto “abuso”, ho provato cioè tutto quello che il mercato dello spaccio offriva e l’ho fatto sempre in quantità smodate e sempre fino al punto di arrivare all’assuefazione ma non è questo il “punto”. Il punto è che oggi so per certo che ogni droga, seppur tra mille sofferenze l’organismo può riuscire a smaltirla in un tempo più o meno lungo, con maggiore o minore sofferenza, per poi rinascere rinvigorito. Solo con una droga questo è praticamente impossibile o quasi, e lo è per l’atrocità e la durata che la sua astinenza comporta, e anche perché se dovessi farcela non ne usciresti rinvigorito bensì a pezzi per il resto della vita, ed è l’unica droga che ci viene prescritta con facilità e che possiamo liberamente comprare, quella legale, la SpA PYCO-FARMACO.
Cominciai a drogarmi che ero un ragazzino, sicuramente già incosciente ma ancora cosciente di quando e come volessi farlo, oggi che ne sono uscito lo decidono i medici per me; quando si dice la “beffa oltre al danno”. All’epoca La medicina sembrava essere l’unico aiuto che avessimo, ed effettivamente era l’unico, solo che più di un aiuto fu un rovina. Invase il mercato nero dello spaccio con “bianche” alternative di soccorso incatenandoci per sempre al grande sonno, quel sonno che per non farti vedere il buio ti benda gli occhi, un rimedio troppo facile e per niente impegnativo. In tanti non l’hanno fatto in cattiva fede ma nemmeno si sono presi la briga di domandarsi cosa cazzo c’entrasse un medicinale per disturbi psichici con il “recupero” di un tossicodipendente, ovvero un disagiato e non un pazzo, né se questi farmaci potessero servire ad alleviare perlomeno le sofferenze fisiche che una crisi d’astinenza provoca.
Un tossicodipendente ha due problemi di fondo: il primo è di ordine “psicologico” e non “psichico”, ed è quello che probabilmente lo ha portato a drogarsi; l’altro è fisico e subentra quando poi raggiungi l’assuefazione, ma se arrivi a questo punto nessun farmaco ti sarà utile durante le crisi, per quanti ne prendi continuerai a soffrire come un cane e in più ti ritrovi rincoglionito oltre che di dolori anche di farmaci e non avrai neanche più quel minimo di lucidità necessario se non altro a darti almeno una forza mentale nell’ affrontare quell’incubo. Ma nonostante ciò non riuscirai né a dormire né a stare meglio, anche se tu continuerai a buttare giù quelle pillole come fossero caramelle, come una disperata speranza, come un disperato che non ha niente da perdere.
Qualche mio amico per questo ha perso la vita, l’ha pagata cara questa “soluzione” prescritta troppo facilmente: overdose di psyco-farmaci, un’overdose “accumulata” mentre aspettava il mattino per potersi drogare. E’ il caso di dire che se quella notte avesse avuto una dose, la droga gli avrebbe salvato la vita. Uno scherzo degli Dei?
Il problema psicologico però non viene mai affrontato nel recupero di un tossicodipendente e non è certo un medicinale a eliminarlo automaticamente, anche se tra le indicazioni, c’è scritto “psico” oltre a “farmaco”.
Io non sono contro gli psicofarmaci per partito preso come tanti ottusi dicono di essere sempre e comunque, per me se indispensabili per il bene del paziente è doveroso usarli, e tanto meno sono per il sacrificio, come altri ottusi gestori di comunità di recupero predicano, ritenendo la sofferenza fisica “terapeutica” per il recupero. Tutte stronzate, per me qualunque tipo di aiuto potesse servire a un tossico per non farlo soffrire lo troverei giusto oltre che umano dico solo che non serve imbottirlo di psicofarmaci per il semplice fatto che non sono indicati per questo tipo di problema, come non serve togliere la droga in maniera radicale dato che il problema non è soffrire più o meno, non è la crisi d’astinenza o come superarla, non è l’assuefazione in sé. Il problema invece, dovrebbe essere cercare di capire perché ci sei arrivato all’assuefazione, perché fai uso di droghe, perché ti fai del male essendone consapevole, perché farti del male ti dà sollievo. Così come nel caso di un soggetto con disturbi mentali dovrebbe essere indagare sull’origine del disturbo oltre al supporto farmacologico se necessario. Al contrario di come vengono affrontati, disagio sociale e disturbo mentale sono due cose distinte e separate, quindi somministrare psicofarmaci a un tossicodipendente non serve assolutamente a un cazzo, però è con quelli che viene “curato”, ovvero con gli stessi farmaci usati per curare i malati mentali, e il paradosso è che anche il malato mentale pur con medicinali adatti, è destinato a non avere una prospettiva di guarigione, perché della cura di cui avrebbe bisogno, lui ne avrà solo la metà, la parte farmacologica.
Diciamo che con la psichiatria oggi si nasconde l’incoscienza della psicologia, quella che avrebbe dovuto “aiutare” la mia incoscienza. Del resto anche quando poi aprirono i Sert, i famosi “centri di recupero tossicodipendenti”, il metodo fu lo stesso, e manco a dirlo la responsabilità dei Sert venne affidata agli psicologi. Questi centri prevedevano la distribuzione di metadone controllata con quantità a decrescere per un certo numero di giorni fino a un massimo di due settimane, abbinata a colloqui periodici tra medici e pazienti che sarebbero dovuti continuare obbligatoriamente anche a disintossicazione avvenuta. Sarebbe stata una buona legge “per” la tossicodipendenza. Invece, quei centri furono e sono nient’altro che un punto di spaccio perenne e gratuito di metadone, dove spesso, come nel nostro caso, non fai un solo colloquio con un cazzo di nessuno. Evidentemente pur essendo stata riconosciuta la tossicodipendenza come una patologia e non più come un vizio, è stato deciso però di “curarla” come la malattia mentale.
A essere malpensanti si potrebbe pensare che forse entrambe sono patologie facili da risolvere per chi non ha una coscienza, basta addormentare i pazienti ed escluderli per sempre da una vita sociale, cioè l’esatto contrario di ciò che lo studio della psicologia si prefigge. La psicologia è, o perlomeno dovrebbe essere, lo strumento per trarre analisi sociologiche, cioè comprendere il comportamento degli individui, i loro processi mentali, le dinamiche interne e i rapporti tra loro e l’ambiente, ponendo il singolo individuo come dato fondamentale per una società civile. In due parole se in una società c’è un disagio, dovrebbe essere suo stesso interesse cercare di capirne il motivo, proprio perché fondamentale per se stessa eliminare il disagio, in pratica dovrebbe essere nient’altro che semplice normalità. Ma forse è proprio per questo che la psicologia è stata sostituita dalla psichiatria, ormai viviamo in una società impazzita dove l’individuo è pianificato, privo di una coscienza individuale, manipolato a piacimento.
Poi ci sono stati quelli in malafede, quelli che hanno aperto piccole comunità di recupero private, qualcuna poi diventata impero, fregandosene perfino di fingere un eventuale interesse verso il nostro recupero, ma offrendoci senza tanti giri di parole la garanzia di farci dormire per tutta l’astinenza così da non soffrire in cambio di generose rette da pagare; uno spaccio “giustificato” lo definirei. Questi invece dell’abolizione radicale della sostanza predicavano “l’abbondanza”, somministrando psyco-farmaci in quantità industriali. Ammetto che questo tipo di comunità fu quello che scegliemmo per primo e qualche ora di “sonno chimico” riuscivamo pure a farcela ma senza riuscire più a fare niente altro. Restavamo senza mangiare né bere per tutta la durata dell’astinenza, perfino una goccia d’acqua ci sembrava enorme da ingoiare, stavamo senza lavarci, né cambiarci, non avevamo la forza né la voglia di fare qualunque cosa, non avevamo forza e voglia per nessuna reazione, era questo il sonno senza sofferenza che ci avevano promesso. Io in questo sonno “senza sofferenza” persi quindici chili in quaranta giorni, fino a che furono costretti a nutrirmi con le flebo. Eravamo così distrutti che dovevano portarci a braccia perfino in gabinetto. Stavamo lì sulle nostre brande come vegetali, in balìa di allucinazioni dovute alle decine di psyco-miscugli che ci somministravano più volte al giorno. Tra i tanti episodi ricordo un ragazzo che dopo una rincorsa fece un tuffo in perfetto stile però attraverso i vetri di una finestra, era convinto che la vasca che vedeva dalla finestra fosse il mare. Fortunatamente era una “Finestra sul cortile”, proprio come un altro film di Hitchcock. Misteriose coincidenze, degne di un thriller.
Soltanto oggi, da lucido, mi rendo conto della follia di quei posti, di quanto poco basti a un essere umano per sbranare un suo simile, di quanto poco basti a un essere umano per perdere la dignità. Basta un interesse. Eravamo cavie umane per esperimenti in balìa di incompetenti senza alcun titolo sanitario che si improvvisavano chimici. Non ci voleva molto per diventare un “benefattore” nella battaglia contro la droga, bastava avere una proprietà adatta a contenere un certo numero di persone e un amico psicologo da far risultare il responsabile della comunità. E pensare che all’epoca gliene eravamo pure grati.
Io tutte le droghe che ho preso le ho scontate con altrettante astinenze, quando fai uso di droghe lo sai che arriverà il giorno in cui non potrai farlo. Ed è un giorno micidiale che non finirà certo quel giorno ma neanche durerà un’eternità, una ventina di giorni all’inferno e ne sei fuori.
Solo dopo l’avvento dello psyco-farmaco le nostre astinenze diventarono interminabili, molto più feroci e senza neanche avere la certezza di non impazzire prima, nel caso remoto riuscissi a superarla. Credo che se l’astinenza da droga fosse stata atroce come quella da psicofarmaci in molti non avremmo continuato, il prezzo da pagare ci sarebbe sembrato fisicamente inaccettabile, impossibile direi, solo che purtroppo l’astinenza da psicofarmaci la conosci solo dopo milioni di astinenze da altre droghe e proprio per questo può diventare la goccia in più.
E questo lo dico oggi, lo dico col senno di poi di chi ha provato entrambe le esperienze e se oggi mi chiedessero un parere da ex-tossicodipendente sulla droga, la mia provocazione sarebbe “state lontani dalla droga, potrebbe portarvi allo psyco-farmaco”.
Ma certe storie non hanno parole per essere raccontate, puoi ascoltarle milioni di volte ma non riuscirai mai a capire bene. Certe storie si spiegano meglio in un dettaglio, un’ immagine, una semplice scena nuda e silenziosa nella sua verità. Per capirle è sufficiente guardarle, come una fotografia, da solo con la tua coscienza, senza ”voci narranti” a narrartela come vogliono. Come le tante foto sparse un po’ dovunque tra le pieghe della mia memoria e che tante volte si riaffacciano e mi urlano nelle orecchie.
Troppi sono stati gli amici che ho visto morire a causa della droga e per quanto ogni volta mi si spezzasse il cuore non ho mai pianto, ho sempre ingoiato le lacrime in silenzio e di nascosto. Sapevamo che era parte del “gioco” e quando arrivava quel momento, il momento dopo cercavamo per quanto ci fosse possibile, di parlarne poco o niente. Pur volendo non potevamo nemmeno partecipare ai “nostri” funerali, le famiglie ci vedevano come la “colpa” e noi ci sentivamo in colpa con le famiglie. Le uniche lacrime che non sono mai riuscito a ingoiare, quelle che ancora mi bruciano gli occhi e mi escono dalla bocca come bestemmie, sono quelle strappate a tradimento da altri, non quelle scelte da noi ma da tutti quelli che con false promesse di aiuto hanno aiutato esclusivamente il loro conto in banca a “ingrassare”sulla nostra pelle.
E allora queste storie ritornano, riprendono vita nei miei pensieri, come non riuscissero a “riposare in pace”, come se ancora chiedessero giustizia. Si riaffacciano alla memoria in un susseguirsi di flash, come una cronaca rigorosa, come una fotografia efficace ed eloquente; indelebile e incisiva, chiara, che "monta" una rabbia esasperata ma mai provocatoria fine a se stessa; rabbia ed esasperazione giustificate da una superficialità che non potrà avere ragione mai e che mai potrà diventare rassegnazione. Tornano come un dolore sempre acuto e forse ancora più acuto e feroce se guardo a ieri e poi guardo a oggi e non vedo differenze. Allora non trovo più alibi da assegnare al "sistema", neanche quello dell'"ignoranza" al cospetto della “materia nuova” che il meccanismo socio-psico-sanitario esibiva a ogni “incidente di percorso” assolvendo la sua colpa e la nostra morte con la poca esperienza nel campo.
Si chiamava Guido, era l’allegria personificata, scuro come il carbone con questi denti che spiccavano da una risata sempre pronta e lo sguardo sveglio, luminoso, sempre vigile, curioso di ogni cosa, avido di vita. Ricordava quegli scugnizzi sulle cartoline di Napoli eternamente imbrattati e per questo dolcissimi. E Guido malgrado la sua esuberanza era dolcissimo, fin troppo, fino a che non masticava puntualmente amaro. Sembrava tanto forte ed era così fragile, pareva non avesse un filtro col mondo che gli girava intorno, lui era capace di piangere fino alle lacrime vedendo un randagio malridotto ma era altrettanto capace di non cacciare una lacrima se fosse stato lui a essere stato malridotto. Troppa sensibilità è una maledetta arma a doppio taglio in questo mondo.
Ci conoscemmo correndo dietro a un pallone, eravamo ancora due bambini, poi ci ritrovammo alle scuole medie e poi ancora in quello che sarebbe stato e sarà per sempre il “nostro” gruppo di amici. Non eravamo ancora maggiorenni né coscienti di quello che la vita ci avrebbe riservato da lì a poco. Passavamo giornate e nottate insieme a parlare dei nostri sogni, di come avremmo cambiato il mondo, furono anni magnifici e benedetti. La droga neanche la immaginavamo, la conoscemmo solo dopo un po’. Cominciammo a fumare hashish, che per quanto e come si vuole raccontare non provoca assuefazione. Saltuariamente prendevamo Lsd, altra droga che neanche dà assuefazione ma danneggia le cellule cerebrali e in più è pericolosa per le allucinazioni che provoca e che potrebbero portare a gesti inconsulti: sono rimasti nella storia tutti i ragazzi morti schiantati perché convinti di saper volare. Però “sapere quello che prendi” è certamente meno pericoloso di quelle allucinazioni non prevedibili che avremmo subito molti anni dopo “grazie all’aiuto” degli psyco-miscugli-legali.
Ma questo è solo un mio pensiero.
La storia invece ci dice che Guido quella notte era sotto l’effetto di Lsd. Lo trovò una volante della polizia mentre lui, in balia di chissà quale allucinazione, armeggiava con la vetrinetta di un altarino. Dentro c’era un crocefisso, voleva liberarlo, dichiarò. Lo portarono in questura.
Guido fu arrestato, il reato non era gran cosa, atti di vandalismo in stato confusionale. Fosse stato “confuso” perché ubriaco lo avrebbero tenuto una notte al fresco e poi rilasciato, ma pare che un atto vandalico sia giudicato diversamente se commesso da un drogato invece che da un ubriaco, guarda caso altro consumatore di droga si, però legale. Guido dal carcere fu trasferito in un ospedale psichiatrico dove rimase qualche anno e da dove ne uscì imbottito di psyco-farmaci di cui ormai era schiavo. E in tutto questo percorso, dall’arresto al passaggio in carcere, fino all’ arrivo in ospedale, Guido continuava a essere sotto Lsd, dal momento che l’effetto di questa droga può durare fino a due e anche tre giorni.
Non ho mai osato neanche immaginare come abbia vissuto tutto quell’inferno amplificato per mille dal suo “stato già di per sé confusionale”.
Quello che invece so per certo è che fino al momento del suo arresto, sia lui che noi ancora non eravamo assuefatti a nessun tipo di droga
Quando lo rividi, Guido non conteneva più se stesso, era un altro, i suoi occhi non erano più attenti e i suoi denti si erano ammalati, niente più splendeva in lui. Sempre la “stessa” storia ci dice che in un’altra notte Guido si alzò dal letto e facendo attenzione a non svegliare i suoi uscì di casa in silenzio. Infine, ci dice che quando arrivò il treno Guido era sdraiato sui binari ad aspettarlo come una liberazione. Quello che la storia non ci dice è chi è l’assassino di questa storia.
In pratica nella mia lunga carriera di tossico la prima morte di un drogato che ho visto non è stata per droga ma per psyco-farmaci, altro scherzo degli Dei?
Un po’ troppo spiritosi questi Dei.
Bruno invece l’ho conosciuto quando venne al mondo, ci dividevano una decina di anni e un palazzo, i nostri balconi erano uno di fronte all’altro e fu dal suo che anni dopo l’avrei visto volare.
Quando li raggiunse lui i dieci anni di età io avevo già raggiunto l’assuefazione. Lo vedevo correre dietro a un pallone proprio come me quando conobbi Guido, non avrei mai pensato di ritrovarlo con me anni dopo anche lui alle prese con la droga. La sua famiglia era una di quelle “in vista” nella zona, aveva un negozio aperto da poco proprio nei pressi del posto frequentato da noi e un passato da nascondere alla “vista”. Fatto sta che quando vennero a sapere che Bruno faceva uso di stupefacenti decisero di nascondere anche lui “dalla vista”, per salvaguardare il buon nome della famiglia e l’attività. Anche lui come Guido fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico da dove, sempre come Guido, ne uscì schiavo degli psyco-farmaci e totalmente inebetito. E così rimase, inebetito fino al giorno in cui decise di farla finita e si lanciò dal balcone. Io ero a casa quel giorno, nella stanza che dava al mio balcone, non dimenticherò mai quel tonfo improvviso seguito dalle urla dei passanti, né il corpo di Bruno sfracellato sulla strada in una pozza di sangue. Lo psyco-killer aveva colpito ancora, questa volta dietro mandato dell’ignoranza.
Anche in “questa storia” per la storia non ci sono stati assassini.
Intanto tra il ripetersi di queste storie la mia tossicodipendenza aveva ormai “compiuto” vent’anni, troppi, come troppe erano state queste storie ai miei occhi. Ero stanco sia della droga che di subire soprusi; dagli spacciatori alla legge “mai al nostro servizio” ma sempre pronta a darci o colpe o mazzate quando proprio non poteva incolparci, fino agli “aiuti” in camice bianco.
Basta, decisi di disintossicarmi.
Trascorsero altri dieci anni prima di riuscirci, non è una decisone facile da mettere in pratica. Come tutti feci il primo tentativo in una di quelle comunità generose di psyco-farmaci. Naturalmente non servì a niente dal momento che, come dicevo, in questi posti il problema del “perché ti droghi” non se lo pongono minimamente. Ci rimasi sei mesi in quel posto, era quello dell’astinenza da quindici chili persi in quaranta giorni raccontata prima. Quando decisero che ero “recuperato” prendevo ancora sei Tavor al giorno. Ai dubbi dei miei fu testualmente risposto che <per come ero messo prima “solo”sei Tavor al giorno erano da ritenersi una vittoria anche se li avessi presi a vita>.
Ovviamente ripresi a drogarmi e con in più un’astinenza da psyco-farmaci che prima non avevo, la mia dipendenza in pratica si raddoppiò, anche se per quella psyco-farmacologica non avevo problemi, per risolverla mi bastava una telefonata al mio medico curante.
Fu così che per altri dieci anni alla droga ho dovuto abbinare gli psyco-farmaci per reggermi in piedi e che mi venivano aumentati a ogni tentativo di smettere che fallivo e che insistevo comunque a fare ancora in quelle psyco-comunità nonostante sapessi ormai di che incubo si trattasse. L’alternativa sarebbe stata quell’altro incubo che sono le comunità più “famose”, quelle sovvenzionate dallo stato, quelle “storiche”, quelle dove per il “recupero”, i ragazzi vengono schiavizzati e messi ai lavori forzati, senza nessun diritto di esprimere la propria idea né a riguardo né in nessun altro caso. Bisogna solo espiare in questi altri posti. Questa invece la chiamerei una “terapia giustizialista”. Lavori fisici massacranti per fisici massacrati. Per i ragazzi non credo siano poi servite a molto, basta seguire un TG per dedurre i risultati, ma a ingrandire le proprietà di questi signori sono serviti sicuramente. Questo era ed è, “per me”, inaccettabile, ancora più sporco dell’altro sporco, sarei morto piuttosto che contribuire alle loro speculazioni.
Quando poi l’organismo si abituava e gli psyco-farmaci non mi davano più quell’effetto iniziale di cui avevo bisogno provvedevo io stesso ad amplificarlo “artigianalmente” associandoli a litri di alcol. Fu in queste condizioni che arrivai infine alla mia ultima comunità.
Ero dipendente da eroina, metadone, psicofarmaci e alcol, ero un laboratorio chimico. La comunità invece era contro ogni tipo di chimica, pur essendo una di quelle a conduzione familiare, gestita da ex tossicodipendenti e nessun professionista in materia. Quest’ulteriore posto riteneva giusto proibire anche un’aspirina “per il tuo bene”, dicevano che rafforzava il carattere anche soffrire per un mal di testa, secondo me anche loro erano da chiudere in qualche posto. Passavo da un’esagerazione all’altra, da un fanatismo all’altro, io di questo divieto non ne ero a conoscenza ma a questo punto avevo capito che un posto vale l’altro e cioè che non esiste un posto strettamente professionale che possa aiutare un tossicodipendente. E pensare che credevo che gli eccessivi fossimo noi.
Così dall’oggi al domani, dopo trent’anni di “tutto” mi venne tolto tutto.
Stavo per impazzire, decisi di andarmene ma venni attaccato da una sorta di crisi epilettiche che mi impedivano di farlo ogni volta che ci provavo. Dopo venti giorni di inaudita sofferenza non ricordavo neanche più chi, come e quando mi avesse accompagnato in quella comunità e me ne resi conto soltanto perché mi fu chiesto. Poi dopo altri venti giorni in balìa oltre che della normale astinenza da droga anche di queste crisi e da allucinazioni “stavolta” dovute alla mancanza di psyco-farmaci e metadone, riuscii a dormire i miei primi cinque minuti senza aiuto di nessuna sostanza. Non mi capitava da quasi trent’anni. Ero incredulo, ero un relitto ma felice.
Scoprii solo dopo quello che avevo rischiato.
Fui accompagnato dal responsabile del posto in ospedale per un controllo. Incontrammo una dottoressa del Sert, che quindi mi conosceva bene e conosceva bene sia il mio grado di intossicazione che il mio accompagnatore e la sua comunità. Vedendoci insieme mi chiese se fossi finalmente riuscito a disintossicarmi, al che il responsabile le raccontò orgogliosamente tutto il mio travaglio, prendendosi ovviamente il merito di avermi “salvato”. La dottoressa dopo aver sentito “come” mi aveva salvato, andò su tutte le furie e gli urlò che aveva rischiato di farmi impazzire o peggio morire per collasso cardiaco e che avrebbe dovuto denunciarlo per la sua leggerezza nel “salvarmi”.
Ma non lo denunciò, cominciarono a cazzeggiare invece, a domandarsi come andava a casa, se i figli crescevano bene e cose del genere, cazzo avevamo appena scoperto che avrei potuto lasciarci la pelle in quella comunità!
Ma ero vivo e disintossicato, per me andava bene così, non ci speravo neanche più, ormai mi ero convinto che sarei morto tossico.
Dopo un anno rinchiuso lì dentro ritennero che fossi pronto per il “rientro in società”.
Giurai a me stesso che nel malaugurato caso fossi ricaduto nella droga, metadone e psyco-farmaci li avrei tenuti alla larga, se non altro qualcosa avevo imparato, o meglio conosciuto: ero rimasto scioccato dalla forza con cui quelle sostanze si attaccano alle cellule, dalla fatica che ci vuole per staccarle, dalla violenza della loro astinenza, liberarsi dall’eroina al confronto era un gioco da ragazzi.
Avevo conosciuto la paura ma ancora non sapevo che aveva preso posto dentro di me.
Sul tanto blaterato “reinserimento” stendo un pietoso velo. Una volta terminata qualunque tipo di terapia nessuno più si interessa a te, eppure dovrebbe essere un momento delicatissimo e fondamentale per la buona riuscita della terapia, non è raro sapere di ragazzi che buttano anni della loro vita nel cesso tornando alla droga appena usciti dalle comunità. Invece devi cavartela da solo e pure tra mille ostacoli. Per la società resterai sempre un cittadino di serie B, l’unico cambiamento sarà un “ex” davanti al “tossico” con cui ti consideravano prima, ma la considerazione non cambierà poi molto. Perfino i tuoi acciacchi saranno di serie B, i tuoi diritti diventeranno di serie B. Nel caso sfortunato di una malattia, la tua a parità con quella di un altro, sarà sempre ritenuta meno “bisognosa” perché procurata da te stesso, questo non te lo dicono ma te lo dimostrano chiaramente. “Chi è causa del suo mal pianga se stesso” non sapevo che in medicina si studiassero proverbi. Più che reinserimento lo definirei un inserimento a ostacoli.
Secondo me il reinserimento è solo un’invenzione per far sembrare il drogato come l’unico colpevole del “problema droga” così da poterlo giudicare come un vizioso che tale vuole restare e lavarsene mani e coscienza.
Ma forse io sono un malpensante. Forse.
Ma comunque fosse andata ormai era andata e io ero ancora vivo, potevo ritenermi fortunato, anche se l’essere rimasto uno dei pochi superstiti di “quel gruppo”, a volte mi fa vivere questa mia fortuna come una colpa.
Non avevo previsto il definitivo scherzo degli Dei, non era ancora finita.
Anni dopo aver smesso si ripresentarono quelle crisi epilettiche avute durante l’ultima astinenza. Ovviamente feci tutti gli accertamenti del caso ma non risultò niente che non andasse, cominciò per me un altro calvario: scoprire la causa di quelle crisi. A fine calvario ebbi la mia diagnosi: “conversioni psicosomatiche”, ovvero, mi spiegarono, il mio cervello riviveva qualcosa che lo spaventava e per difesa scaricava la paura sul fisico.
Fu allora che scoprii di avere assimilato la paura.
Ok, ne avevo viste di peggio, mi sarei curato, sempre meglio dell’epilessia pensai.
Mi dissero di andare al centro di igiene mentale della mia zona, ci andai. Sottoposi la diagnosi, raccontai la mia storia e il dottore fece due più due ma il risultato fu: PSYCO-FARMACO!!!!!
Cazzo lo dice la parola stessa <conversione psico-SOMATICA>, il significato di somatizzare si può trovare facilmente in un qualunque dizionario di italiano “trasformare un disagio psicologico in un’alterazione fisica della salute” quindi anche in questo caso il mio era un disagio psicologico ma “trattato” come un disturbo psichico. La storia si ripeteva, eppure non mi sembra così difficile da capire, nemmeno per uno laureato in medicina……..
Pare che sta psicologia sia fuori uso del tutto. Parlare dei tuoi problemi con qualcuno che ha studiato proprio per cercare di capirli i tuoi problemi non è più ritenuto terapeutico e perfino lo stesso problema non è più un problema se non “ospedalizzabile”. Signori e signore dichiaratemi pazzo perché io ritengo che tutto questo sia pazzia, e se non fossi io il pazzo significherebbe che siamo in balìa di tutto un sistema che lo è, ecco perché ci si può ritrovare in manicomio da un momento all’altro, tutto un sistema è complicato da curare, meglio il singolo errore.
Oggi? La mia vita è scandita ancora una volta da tempi chimici il che mi compromette ancora una volta quella sociale.
Poi ci sono momenti in cui ho paura, non respiro, sento la pelle che scotta ma sudo freddo, i muscoli sono contratti, i nervi tesi, stringo i denti fino a sentirli nelle mascelle, stringo i pugni fino a schiacciarmi le dita, sono bloccato nei movimenti, sono letteralmente inchiodato a quei momenti e l’ “igiene mentale” più che della mia mente s’informa sul bisogno psyco-farmaceutico del “mio corpo”
E tutto ciò di nuovo aspettando Godot.
Un consiglio? State lontani dalla droga potrebbe portarvi allo psyco-farmaco.
E a ben pensarci non è una provocazione. Vi piaccia o no è cronaca.

c.campajola

1 commento:

  1. Un bel blog, i miei più sinceri complimenti per questo e per il percorso umano condotto nonchè per la capacità di analisi del medesimo.

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